Il patient engagement secondo l’indagine Helaglobe

Patient engagement

Le associazioni di pazienti indicano il patient engagement come una relazione fiduciaria tra “persona con” e istituzione. Ma spesso resta ancora più presente sulla carta che nella realtà.

Attualmente diversi sistemi sanitari stanno fronteggiando l’aumento di incidenza delle malattie croniche. Secondo stime recenti, le risorse destinate alla gestione delle cronicità rappresentano circa il 70% della spesa sanitaria a livello mondiale.

Il coinvolgimento attivo dei pazienti può avere un impatto positivo sui costi, mentre i pazienti “meno ingaggiati” pesano di più in termini di costi sanitari e sociali.

Il paradigma dell’approccio paternalistico, in cui gli operatori prendono tutte le decisioni senza consultare il paziente, si è spostato verso un modello più partecipato ed incentrato sul paziente. Questo punta a personalizzare l’assistenza in base a quelli che sono i bisogni, i valori e le esperienze del paziente.

Inoltre, il coinvolgimento del paziente è diventato un elemento fondamentale dell’assistenza e un obiettivo dichiarato degli enti sanitari. Da quanto emerge dalla letteratura, questo impegno si focalizza sulla relazione tra pazienti ed enti erogatori sia nel prendere le decisioni che su come migliorare la gestione della patologia da parte di pazienti. [1]

L’indagine di Helaglobe

Abbiamo condotto una rilevazione sul territorio nazionale, chiedendo a diverse associazioni di pazienti attive sul territorio nazionale quale fosse la loro definizione di patient engagement e l’attuale livello di coinvolgimento attivo del paziente.

Dalle risposte ottenute, è emerso che il patient engagement è una relazione, uno spazio di interazione fiduciaria attraverso il quale passa la consapevolezza di quanto sia importante per ogni persona con patologia avere un ruolo attivo nella gestione della propria malattia, ma anche un punto di partenza dal quale istituzioni e pazienti camminano assieme verso un obiettivo. È un’esperienza di collaborazione che coinvolge paziente ed istituzione, che va oltre la “mera” esperienza di accettazione della diagnosi e che è il punto in cui si imposta la cura del paziente.

Dalla letteratura esistente sappiamo che le persone con malattie croniche assumono il 50% delle dosi prescritte, il 50% segue i consigli di riferimento, il 75% non mantiene gli appuntamenti di follow up e il 40% dei decessi è causato da dinamiche comportamentali che possono essere cambiate [2]. Ci rendiamo conto quindi, che ingaggiare il paziente è davvero “sfidante”.

Com’è il livello di patient engagement nelle nostre rilevazioni? Non molto presente. Questo è imputabile a diversi fattori.

In primis, un fattore di natura culturale definito da alcuni, o di “consapevolezza” definito da altri, perché il paziente non ha ancora la percezione di quanto possa incidere sul proprio percorso di cura”, dovuto forse anche ad un rapporto di riverenza eccessivo nei confronti del medico.

Però dove le associazioni sono presenti, numerose sembrano essere le esperienze che hanno portato anche ad una nuova cultura di coinvolgimento dei cittadini, una cultura che ha dato voce ai pazienti e ha diffuso la consapevolezza di quanto sia importante gestire la propria patologia.

Ma c’è comunque chi ha lamentato che il patient engagement è ancora qualcosa più presente sulla carta che nella realtà.

La consapevolezza di una relazione, che si è spostata dalla situazione in cui chi fornisce le cure “fa qualcosa per il paziente” alla situazione in cui chi fornisce le cure decide “con il paziente”, sembra essere presente e instillata nelle coscienze. Tuttavia l’evoluzione verso una visione di “partenariato” delle cure pare non essere ancora così visibile nella realtà.

  1. BMJ Quality & Safety, 15(5), 307-310.
  2. N Engl J Med 2012;366(21):1998–2007.