Chatbot? Sì, ma con il cuore

Digital health

Sistemi sanitari sempre più sollecitati dalla domanda di assistenza sanitaria? Nessun problema, la soluzione può arrivare dai chatbot. Si tratta dei robot dotati di intelligenza artificiale programmati per interagire, a tono, con l’utente umano che virtualmente dialoga con loro attraverso computer, tablet o smartphone.

Facile a dirsi, non sempre a farsi. A fare la differenza è il modo, fatto di tono e pertinenza, con cui i bot rispondono ai quesiti. In altri termini, è il livello di empatia l’elemento dirimente tra il chatbot che tiene “incollato” l’utilizzatore delle piattaforme di dialogo online e quello che lo fa desistere rapidamente.

Anche, e soprattutto, quando si tratta di argomenti sanitari.

È quanto sostiene l’azienda che si occupa di intelligenza artificiale americana Gyant, che definisce questo fattore come “empatia algoritmica”. Responsabile del fenomeno, piuttosto singolare, che vedrebbe il tasso di engagement dei chatbot empatici all’82%, rispetto al 55% conquistato dalle tradizionali telefonate con operatore.

Prendi un chatbot, istruiscilo bene e fallo dialogare per ore

Il concetto è semplice. Prendi un chatbot e programmalo per rispondere in modo freddo, asettico e poco allineato al bisogno del cliente. Quest’ultimo scapperà a gambe levate. Viceversa, metti a punto un software capace di riconoscere finemente le domande dell’utente, rendilo comunicativo ed empatico e conquisterai la fiducia dell’utente. O del paziente, se si parla di assistenza sanitaria.

E il risultato sarà molteplice. Da un lato la soddisfazione del cliente farà lead e da elemento persuasivo per conquistarne di nuovi. Dall’altro l’efficienza del sistema di assistenza virtuale porterà a risultati migliori in termini più ampi per la salute del paziente: migliore aderenza terapeutica; identificazione di esigenze terapeutiche in fasi precoci così da poter essere trattate a basso costo e con migliore outcome per il paziente; un numero di “consulti” sanitari preliminari più ampio di quello che sarebbe possibile fare con le visite ambulatoriali da parte dei medici di medicina generale. A cui i pazienti possono essere indirizzati nei casi in cui l’interazione con il chatbot non riesce a soddisfare i medical need esposti dal cittadino.

Ed è facile intuire come questo approccio possa rappresentare anche uno strumento per ottimizzare sia il costo-beneficio dell’assistenza sanitaria nel suo complesso, sia il patient journey dei pazienti.

In bilico tra empatia e responsabilità 

Affidare all’intelligenza artificiale l’incontro tra la domanda di assistenza sanitaria e una prima offerta di soluzioni terapeutiche, può senz’altro rappresentare un’opzione per aumentare l’accesso alle cure riducendone i costi. Ma il pericolo è dietro l’angolo. 

Chi programma e chi si serve dei chatbot, infatti, deve essere ragionevolmente certo che essi siano programmati in modo sufficientemente avanzato per poter interagire con l’utente in modo via via sempre più fine, così da affrontare quanto più precisamente possibile le sue esigenze di salute. Allo stesso tempo ci si deve accertare che l’assistente virtuale sia in grado di riconoscere il punto della conversazione in cui fermarsi e indicare al paziente di rivolgersi al medico. Solo così si potrà evitare il rischio che il chatbot consegni al paziente una diagnosi. Se così fosse, almeno negli Usa dove opera Gyant, questo strumento sarebbe classificato come dispositivo medico e dovrebbe sottostare alle norme previste dalla Food and drug administration per questa classe di articoli.